1. PIAGET
Secondo
Piaget, il linguaggio fa parte delle funzioni
simboliche
umane insieme ad altri processi dell’attività rappresentativa.
Es:
disegno, imitazione differita, gioco simbolico, immagini mentali…
Ma
da altri punti di vista, come quelli della linguistica e della neuro
psicologia, il linguaggio ha una sua specificità funzionale.
Il
linguaggio ha complesse relazioni con i processi
- di pensiero
- con quelli relazionali
- e con la vita emotiva – Rappresenta un passo importante il momento in cui il bambino comincia a esprimere i propri stati emotivi.
Piaget
distingue il linguaggio egocentrico (quel linguaggio in cui il
bambino si esprime parlando più a se stesso che non ad altri e
comunque senza tener conto del punto di vista del suo interlocutore o
delle persone presenti che lo sentono) dal linguaggio socializzato
(il linguaggio, invece, rivolto alle persone presenti e che tiene
conto dell’interlocutore) e descrive lo sviluppo del linguaggio
come il passaggio dall’uno all’altro. Questo egocentrismo
linguistico dipende, secondo Piaget, dal generale egocentrismo
cognitivo, in quanto esso si manifesta anche in altri ambiti del
comportamento infantile.
E’
importante non solo lo sviluppo delle competenze linguistiche, ma
anche l’acquisizione delle capacità di usarle in modo socialmente
appropriato: Competenza pragmatica. Capacità che permette al bambino
di adeguare il discorso all’interlocutore (quindi a seconda che
parli con un adulto o con un coetaneo).
2. VYGOTSKIJ
Secondo
questo autore, a differenza di Piaget, il linguaggio è socializzato
sin dall’inizio e, anzi, egli vede proprio nel rapporto sociale la
nascita sia del linguaggio che della cognizione. Considera,
viceversa, il linguaggio egocentrico come una manifestazione
linguistica che insorge nel momento in cui l’individuo deve trovare
soluzioni a problemi. Sempre secondo Vygotskij, linguaggio e pensiero
nascono inizialmente come capacità distinte e solo in un secondo
momento queste due strade separate si incontrano. Questo punto di
incontro avviene con la capacità simbolica, nel momento in cui un
significato viene verbalizzato, visto che il punto di incontro fra
pensiero e parole si trova precisamente nel significato.
3. TEORIE ASSOCIAZIONISTE
Alla
base dell’acquisizione del linguaggio vi sono processi di tipo
imitativo e associativo. Il comportamentismo (Skinner)
sostenne che ha un ruolo cruciale il rinforzo cioè l’approvazione
espressa dall’adulto per le forme progressivamente più precise del
linguaggio infantile. Con l’osservazione e l’imitazione i bambini
imparerebbero ad associare una parola con un oggetto o un evento. Si
tratta di una concezione semplicistica.
4. CONCEZIONE STRUTTURALE INNATISTA
Noam
Chomsky
(1965) nega che imitazione e rinforzo siano i meccanismi responsabili
di questo importante processo. Egli, con il supporto della ricerca
linguistica, mostrò che il linguaggio è troppo complesso per essere
appreso con meccanismi così semplici. La mente umana è
biologicamente predisposta all’acquisizione del linguaggio. Esiste
cioè un dispositivo innato per questo scopo.
I bambini attivamente scoprono, verificano ed
elaborano le regole del linguaggio, partendo da quelle più semplici,
sulla base di conoscenze innate sulla natura del linguaggio.
Non
dobbiamo pensare che il bambino acquisisca il linguaggio soltanto
attraverso esperienze di tipo linguistico. Egli lo acquisisce
attraverso molte forme di interazione precoce con gli adulti che si
occupano di lui.
5. LA PROSPETTIVA INTERAZIONISTA
Jerome
Bruner
considera i processi trascurati dalla teoria strutturale-innatista:
le
esperienze comunicative
la
conoscenza sociale del mondo
i
rapporti tra linguaggio e pensiero
Molte
ricerche mostrano come la qualità dell’interazione adulto-bambino
e i processi preverbali siano effettivamente rilevanti per promuovere
l’acquisizione del linguaggio.
Questo
perché la comunicazione si stabilisce prima del linguaggio,
collegandosi alle esperienze relazionali che il bambino vive con chi
si occupa di lui.
Fra queste
interazioni sono rilevanti
- L’attenzione condivisa
Bambino e adulto condividono l’attenzione su un
oggetto od evento. L’attenzione condivisa è facilitata dal gesto
dell’indicare (gesto comunicativo)
- L’indicare
L’oggetto o l’evento possono essere indicati,
in un primo tempo dall’adulto (invito alla condivisione
dell’attenzione) poi dal bambino. Sono gesti deiettici che
esprimono un’intenzione comunicativa.
Altre prime forme comunicative
- I gesti di saluto (ciao-ciao)
- I giochi di scambio (dare-prendere) – (6-12 mesi) Il bimbo da una cosa alla madre e la madre lo ridà al bimbo
- Gioco del cucù (precursore del nascondino)
Hanno un ruolo centrale la disposizione
dell’adulto (madre) a considerare il bambino fin dai primi mesi
come una persona e un interlocutore anche quando egli non è ancora
in grado di cogliere il significato di ciò che si dice.
L’interazione verbale faccia a faccia è molto
importante, perché permette al bimbo di percepire i segnali di tipo
mimico dal volto della madre, così come l’assunzione di turni
(turn-talking) nei giochi che possono accompagnare questa
interazione.
Più tardi nell’infanzia la crescita del
linguaggio può essere favorita da altre interazioni con l’adulto,
come
- Guardare un libro illustrato e “leggerlo” insieme
- La narrazione di storie
- Fare in modo che impari a collegare schemi con parole
Vari fattori nei contesti relazionali e
socioculturali possono agevolare o rendere più lento e meno
articolato lo sviluppo del linguaggio, già nei primi tre anni.
Possibile svantaggio
- Fattori di ordine socioeconomico e culturale (Parisi, 1978)
Es: Disponibilità (anche emotiva)
dell’adulto di cogliere i segnali che il bambino trasmette
- Disagi relazionali (elevato stress familiare) che rendono più difficile la disponibilità dei genitori
Es: Elevata conflittualità tra i genitori
Conseguenze possibili
- Sviluppo più lento del linguaggio
- Minore ampiezza del vocabolario
- Minore articolazione e complessità delle frasi (meno proposizioni subordinate)
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